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Tacito
De oratoria,19
 
originale
 
[19] Nam quatenus antiquorum admiratores hunc velut terminum antiquitatis constituere solent, qui usque ad Cassium * * * * * , quem reum faciunt, quem primum adfirmant flexisse ab illa vetere atqueirecta dicendi via, non infirmitate ingenii nec inscitia litterarum transtulisse se ad aliud dicendi genus contendo, sed iudicio et intellectu. Vidit namque, ut paulo ante dicebam, cum condicione temporum et diversitate aurium formam quoque ac speciem orationis esse mutandam. facile perferebat prior ille populus, ut imperitus et rudis, impeditissimarum orationum spatia, atque id ipsum laudabat, si dicendo quis diem eximeret. Iam vero longa principiorum praeparatio et narrationis alte repetita series et multarum divisionum ostentatio et mille argumentorum gradus, et quidquid aliud aridissimis Hermagorae et Apollodori libris praecipitur, in honore erat; quod si quis odoratus philosophiam videretur et ex ea locum aliquem orationi suae insereret, in caelum laudibus ferebatur. Nec mirum; erant enim haec nova et incognita, et ipsorum quoque oratorum paucissimi praecepta rhetorum aut philosophorum placita cognoverant. At hercule pervulgatis iam omnibus, cum vix in cortina quisquam adsistat, quin elementis studiorum, etsi non instructus, at certe imbutus sit, novis et exquisitis eloquentiae itineribus opus est, per quae orator fastidium aurium effugiat, utique apud eos iudices, qui vi et potestate, non iure et legibus cognoscunt, nec accipiunt tempora, sed constituunt, nec exspectandum habent oratorem, dum illi libeat de ipso negotio dicere, sed saepe ultro admonent atque alio transgredientem revocant et festinare se testantur.
 
traduzione
 
19. ?Infatti, dal momento che gli ammiratori degli antichi pongono comunemente quasi come limite di demarcazione dell'antichit? Cassio Seveso, che essi accusano, imputandogli, come affermano, di essere stato il primo a deviare dal diritto sentiero dell'eloquenza, cio? quello vecchio, ebbene io sostengo che non ? per scarsezza di talento o per difetto di cultura letteraria se ? passato a quel genere di eloquenza, bens? a ragion veduta e in forza di una scelta intellettuale. Ha visto infatti, come dicevo poco fa, che insieme al carattere delle varie epoche e alle variazioni di gusto, bisogna modificare anche la forma e l'aspetto esterno del discorso. Il pubblico dei tempi pi? addietro, perch? inesperto e grossolano, sopportava facilmente la prolissit? dei discorsi quanto mai verbosi e per lui era un merito se qualcuno consumava nel parlare tutta una giornata. I lunghi esordi preparatori, la narrazione dei fatti ripresa molto da lontano e lo sfoggio di tutta una serie di suddivisioni della materia e la sequenza interminabile delle argomentazioni e tutto il resto che insegnano gli aridissimi trattati di Ermagora e di Apollodoro, tutto ci? godeva di grande stima; se, poi, pareva che qualcuno avesse annusato un po' di filosofia e se costui riusciva a infilare qualche luogo comune nel discorso, allora era portato alle stelle. E non c'? da meravigliarsi: tutto ci? era, infatti, nuovo e sconosciuto e pochissimi, perfino degli stessi oratori, avevano familiarit? coi precetti dei retori e le massime dei filosofi. Ma ora che tutto ci? ? di dominio pubblico, in un tempo in cui ? difficile trovare, nello spazio riservato agli ascoltatori, uno che non abbia, non dico una competenza specifica, ma se non altro un'infarinatura degli elementi base di questa attivit? professionale, ora c'? bisogno nell'eloquenza di metodi nuovi e raffinati, con l'aiuto dei quali l'oratore possa evitare la noia in chi ascolta, e specialmente davanti a giudici che deliberano grazie al potere della loro carica e non in base al diritto e alle leggi, e non subiscono la durata di un discorso, bens? la fissano, e non devono aspettare che l'oratore si decida a venire al fatto, ma spesso sono loro ad ammonirlo, quando si lascia andare a una digressione, e a richiamarlo, protestando che non hanno tempo da perdere.?
 

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